Una realtà economica e sociale impoverita («il lockdown e le chiusure – spiega Lorenzo Pancini segretario generale della Cgil di Prato – hanno comportato il taglio del 15/20% di redditi e salari»), con metà della forza lavoro (60-70 mila lavoratori) in cassa integrazione, con un calo sensibile della produzione industriale, e con i volumi di export, su cui si fondano le prestazioni dell’industria, ridimensionati: è la radiografia scattata nel suo secondo rapporto da “L’osservatorio della crisi pandemica nella provincia di Prato”, lo strumento commissionato dalla Cgil di Prato al Laboratorio di Scienze del Lavoro (Laboris) del Pin, per misurare gli effetti dell’epidemia da Covid-19 sul sistema e sulla società pratese. Un’istantanea che preoccupa, tanto da spingere Pancini ad esortare il governo nazionale «a prorogare gli ammortizzatori sociali e il blocco dei licenziamenti».
E’ stato lo stesso Pancini insieme ad Enrico Fabbri, il ricercatore del Pin che con il collega Dimitri Storai ha curato anche il precedente report, a presentare, stamani, nella sede della Camera del Lavoro, il secondo rapporto de “L’osservatorio” e i suoi numeri che, per stare alle parole dello stesso Fabbri, assomigliano ad «un’economia di guerra».
La premessa del secondo report, d’altro canto, lascia pochi margini a dubbi, su come Prato, in questi 6 mesi del 2020, abbia visto peggiorare le sue performance produttive: «In tutti i periodi presi in esame, la provincia di Prato ha fatto registrare tassi di riduzione della propria produzione industriale maggiori della media regionale che, a sua volta, si colloca al di sopra della media nazionale».
Vediamo più nel dettaglio la ricerca presentata oggi.
Produzione in discesa – La pandemia ha picchiato duro sull’economia pratese, più che da altre parti della Toscana, sicuramente più che in Italia: nel trimestre febbraio-aprile, a Prato c’è stata una contrazione del 37,7% della produzione industriale, rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno, contro il meno 28,7% toscano, e il meno 24,6% italiano. Il dato, di per sé alto, è solo la media di una tendenza che si è accentuata a marzo e ancor di più in aprile (in pieno lockdown), quando è venuto meno il 60% della produzione industriale. La ragione di un andamento così particolarmente negativo sta nella specializzazione produttiva dell’economia locale, che ha maggiormente risentito delle misure restrittive adottate per contenere la diffusione del coronavirus. Per intenderci: Prato è stata quasi tutta chiusa.
Minori esportazioni – Prato vive di export, soprattutto verso l’Europa e l’Asia, che ancora nel 2019 rappresentavano il 76,09% e il 13,95% dei suoi volumi totali, due aree geografiche verso le quali le esportazioni sono scese di quasi 10 punti e di oltre 11 punti. I numeri globali confermano il trend: fatto 100 il primo trimestre dell’anno 2018, nel primo trimestre 2020, l’export, il cui valore totale è stato di 562.989.849 euro, ha registrato un calo di quasi 8 punti, particolarmente sensibile per quanto concerne filati (- 22%) e tessuti tessili (-13% circa).
Importazioni (anche) in calo – Fatto 100 come per le esportazioni il primo trimestre dell’anno 2018, anche le importazioni, che hanno raggiunto un valore complessivo di 337.780.503 euro, sono diminuite nel primo trimestre 2020 di quasi 10 punti.
Mercato del lavoro, congelato – Quello pratese è un mercato del lavoro poco attivo, con movimenti ridotti al minimo indispensabile. Nel raffronto tra il trimestre aprile-giugno 2020-2019 si manifesta la diminuzione consistente, nell’ordine del 47,4%, degli avviamenti. E’ vero che anche le cessazioni sono diminuite (-52,1%), e il saldo è positivo di 2.939 unità, ma è un mercato del lavoro molto più piccolo, ridotto della metà, dove le proroghe dei contratti a tempo determinato, tra il 2019 e il 2020, sono scese del 20,8% e le trasformazioni si sono abbassate del 33%. «Non si rinnova, o si rinnova a tempo determinato» (Fabbri).
L’industria cerca di resistere – Il netto miglioramento nel secondo trimestre 2020 della resilienza delle imprese testimonia il loro tentativo di resistere. Le aziende finali della filiera produttiva (tessile, in particolare) cercano di evadere tutti gli ordini ricevuti prima del lockdown, nel timore di una loro cancellazione. La conseguenza: maggior sfruttamento degli impianti di sub-fornitura e rimbalzi nell’occupazione con necessità di maggiore manodopera, persa invece nel periodo di chiusura, per il mancato rinnovo dei contratti a termine
Niente rimbalzo occupazionale – Rimbalzo occupazionale che non c’è stato nel lavoro domestico (badanti, e colf), con consistenti fuoriuscite a marzo e aprile e con le famiglie che cessano di dare lavoro, e fanno fatica a riprendere i rapporti interrotti per la diffusa paura del contagio, soprattutto ai danni degli anziani, ma anche per il cambiamento delle loro condizioni economiche.
Mancato rimbalzo occupazionale anche nelle attività associative e nelle attività legali, per la chiusura dei tribunali.
Lavoro somministrato, in aumento – Dopo aver subito un abbattimento degli avviamenti di quasi il 71% nel mese di aprile e di oltre il 50% a maggio, il lavoro somministrato, pur mantenendosi al di sotto dei dati 2019, torna a crescere. La ragione è semplice: è uno degli strumenti per gestire le produzioni durante la pandemia, poiché un lavoratore interinale può essere più facilmente ingaggiato e più facilmente espulso dal ciclo produttivo.
Ammortizzatori sociali, alto consumo – E’ l’altro dato che mostra come la pandemia abbia picchiato duro a Prato, con circa la metà della forza lavoro passata dalla cassa integrazione, per quasi 10 milioni di ore.
Nel primo semestre 2020 sono state più di 5 milioni le ore di cassa integrazione ordinaria, che hanno coinvolto circa 37 mila lavoratori. Una tendenza che non accenna a diminuire, al solo considerare che fra aprile e maggio le Ula (unità lavorative anno) sono passate da 29.823 a 5.970, una forte decrescita dovuta al protrarsi della cassa integrazione e alla caduta dell’export.
Da gennaio a maggio sono state 2.290 le domande al fondo di solidarietà bilaterale per l’artigianato, che hanno interessato poco più di 10 mila lavoratori.
Un milione e 700 mila le ore nel 2020, fino a giugno, di cassa integrazione in deroga, per 8.939 lavoratori coinvolti.
Più di 2 milioni le ore autorizzate dal Fondo di integrazione salariale, per 14.742 Ula.
Più Reddito di cittadinanza – Che Prato sia più povera basta l’indicatore sul Reddito di cittadinanza (Rdc). C’è più Rdc: le famiglie (1.918) che vi hanno fatto ricorso nei primi cinque mesi dell’anno sono aumentate del 6,1% rispetto allo stesso periodo 2019 (1.808), con il numero delle persone coinvolte cresciute, conseguentemente, nel 2020 (4.880, + 3,3%) rispetto al totale delle persone coinvolte nel 2019 (4.726).
Niente turisti – Inutile dire che anche i flussi turistici, a causa della forte limitazione dei movimenti interni ed esteri, sono stati in picchiata, soprattutto nella componente internazionale. I numeri dicono che c’è stato una caduta, da febbraio in poi (a gennaio il trend era positivo), del 69% negli arrivi (-52,94% italiani, -74,99% stranieri), e una caduta del 60,32% nelle presenze.