Produzione ancora in discesa, mercato del lavoro sempre “congelato”, export in continua caduta, tanta cassa integrazione, aumento povertà, contrazione dei salari. “L’osservatorio della crisi pandemica nella provincia di Prato”: i risultati del terzo rapporto.
Produzione in discesa rapida, export in netta diminuzione, occupazione in calo, aumento della povertà, cassa integrazione a livelli straordinari, contrazione dei salari, ma anche il tentativo delle imprese di “resistere”: è il racconto proveniente da “L’osservatorio della crisi pandemica nella provincia di Prato”, il rapporto del Laboratorio di Scienze del Lavoro (Laboris) del Pin e di Cgil Prato, giunto alla terza edizione e riferito al terzo trimestre 2020, presentato dal segretario generale della Camera del Lavoro Lorenzo Pancini, con le segretarie Manuela Marigolli e Cristina Pierattini, e dai curatori Enrico Fabbri e Dimitri Storai.
«Un’indagine, la terza, sull’impatto dell’emergenza sanitaria che descrive la sofferenza del sistema economico, soprattutto in termini di occupazione – spiega Pancini nell’introduzione – come avevamo stimato nel primo rapporto dell’Osservatorio: oltre un migliaio di posti di lavoro persi, nonostante il blocco dei licenziamenti». Accanto al dato negativo dell’occupazione, Pancini segnala «il processo di impoverimento, reale e percepito, il cui termometro è dato anche dall’aumento del Reddito di cittadinanza e dalla perdita secca di salario, che varia dal 33 al 47 per cento».
Un sistema economico e sociale ulteriormente indebolito, dove il tentativo di ripresa dopo il lockdown, desumibile da alcuni indicatori, si scontra «con il venire meno degli effetti – sempre Pancini – delle misure di sostegno messe in campo dal governo».
Produzione ancora in discesa – Lo scenario nel terzo trimestre conferma la caduta della produzione industriale, già registrata nel secondo rapporto dell’Osservatorio pandemico. Prato peraltro fa peggio dell’Italia: se il calo italiano è stato nei primi nove mesi dell’anno del 14,20%, una recente indagine Irpet stima per la provincia di Prato, nel periodo marzo-agosto 2020 rispetto al medesimo periodo 2019, una contrazione del 29,2%, ben sei punti sopra la media regionale.
L’occupazione scende – Prato in nove mesi, da gennaio 2020, ha perso 1500 posti di lavoro, 1400 su scala annua. In dati assoluti: gli addetti impiegati nelle imprese pratesi, che risultavano essere 108.010 al 31.12.2019, sono 106.502 alla data dello scorso 30 settembre (-1,4%). La dinamica negativa risulta particolarmente marcata nei dati relativi ai dipendenti (-1.257 su base annua, in percentuale -1,48%, e -1.443 nei primi nove mesi 2020, in percentuale -1,7%). Diminuzione che per Storai può avere varie ragioni: contrazione delle assunzioni, pensionamenti, cessazioni attività imprese, proroghe mancate. «Tutti i settori hanno saldi negativi», rimarca Storai.
Imprese, stessi numeri – Il calo della produzione e dei lavoratori impiegati non si rispecchia nella presenza delle imprese e nelle unità in cui sono suddivise, per una sorta di effetto “resistenza”. Al 30 settembre del corrente anno le imprese pratesi attive risultavano 28.916, l’8,22% delle aziende toscane. Prato conferma la spiccata specializzazione nel tessile e nell’abbigliamento, con la quota delle imprese tessili e dell’abbigliamento che rappresentano rispettivamente il 58,14% e il 54,3% delle imprese toscane.
Il panorama provinciale fa registrare la “tenuta” nei numeri delle imprese attive, che restano più o meno uguali dal 30 settembre dello scorso anno (-0,03%) e da gennaio a settembre 2020 (+ 0,17%). «Probabilmente le imprese – spiega Storai – attendono la fine dell’anno per prendere decisioni».
Da segnalare la sofferenza del tessile (-3,92% settembre 2019-settembre 2020 e -2,78% gennaio-settembre 2020), e della meccanica (-4,00% settembre 2019-settembre 2020 e -2,89% gennaio-settembre 2020).
Nei primi tre trimestri si contrae anche il numero delle imprese di costruzioni e di ristorazione, con una crescita seppur lieve nel terzo trimestre.
Imprese ad “alto valore aggiunto”. La dinamica delle imprese vede la crescita dei settori “ad alto valore aggiunto” (produzioni di software, consulenza informatica, servizi di informazione e altri servizi informatici, attività legali e contabilità, attività di direzione aziendale e di consulenza gestionale, studi di architettura e ingegneria, pubblicità e ricerche di mercato, attività scientifiche e tecniche) la cui evoluzione “risulta di particolare interesse – è scritto nell’indagine riferita al terzo trimestre – in quanto i servizi da loro offerti possono svolgere un ruolo propulsivo nello sviluppo di innovazione del prodotto, di processo e di mercato, (…) fornire un contributo estremamente rilevante alla competitività delle impese manufatturiere e non solo”.
La loro crescita percentuale a Prato è anche superiore seppur lievemente alla crescita toscana: sono 1439 le imprese pratesi “ad alto valore aggiunto” al 30 settembre 2020, più 1,70% nei dodici mesi tra settembre 2019 e settembre 2020, più 1,84% da gennaio al 30 settembre 2020.
Esportazioni ancora giù. L’export scende ancora nel secondo trimestre 2020. Con la sola “anomalia” dell’America settentrionale (più 14% sul 2019), la provincia di Prato in confronto al secondo trimestre 2019 e 2018 (fatto cento) perde volumi di export verso tutte le aree: verso l’Europa dove si attesta al 60,41%, con una contrazione di circa 35 punti sull’anno scorso, ancora più marcata (quasi 40 punti) rispetto al 2018; verso l’Asia dove praticamente con il 50,32% dimezza le sue esportazioni rispetto al secondo trimestre 2018 («l’export verso Europa ed Asia – chiosa Pancini – è quasi il 90% delle esportazioni pratesi»); verso l’Africa e verso l’Oceania, dove perde il 29% sul 2019, fino ad assottigliarsi (22,45% nel secondo trimestre 2020) verso l’America Centrale e meridionale.
Mercato del lavoro, congelato – Nel terzo trimestre il mercato del lavoro pratese continua ad essere “congelato”: «I movimenti sono pochi», chiarisce Fabbri. Gli avviamenti sono ben al di sotto dei dati dello scorso anno (-13,8%), anche se il periodo luglio-settembre 2020 mostra una variazione negativa in miglioramento. Sulle cessazioni peggiora il raffronto 2019- 2020: le minori cessazioni (-33%) nel secondo trimestre si riducono nel terzo (-17%). La causa: la scadenza dei contratti a termine accesi prima dell’avvento del lockdown.
In aumento proroghe (+13,1%) e trasformazioni (+2,5%), segnale osserva Fabbri di «una certa ripresa di fiducia delle imprese dopo la chiusura per il lockdown», con i contratti a tempo determinato prorogati più che in passato, per la necessità delle aziende di riacquisire le professionalità necessarie ad essere pienamente operative, magari reintegrando risorse umane “lasciate a casa” nei mesi precedenti.
Maggiore povertà – Crescono tutti gli indicatori che denotano un peggioramento nelle condizioni economiche delle famiglie. Aumentano le erogazioni del Reddito di cittadinanza (Rdc) per nuclei famigliari (2099 nel 2020, 1811 nel 2019) e per percettori (5281 nel 2020, 4730 nel 2019), con una impennata tra maggio e agosto: il numero dei beneficiari di Rdc è cresciuto dell’8,3%.
Cresciuta anche la media (+7,8%) del sussidio, con Prato che si colloca sopra il dato toscano, passato da 466,11 a 502,58 euro.
Le famiglie si percepiscono anche “più povere”: netto è infatti il divario fra richieste e domande accolte (meno del 42,6%) del Reddito di emergenza.
Ammortizzatori sociali, consumo sempre alto – In costante aumento anche le ore di cassa integrazione (Cigo): a luglio sono oltre 50 volte maggiori rispetto a giugno, con un totale di ore autorizzate da gennaio di 7.170.196 (176.847 nel gennaio-luglio 2019). Il maggior consumo di Cigo nell’industria si registra nel tessile (58,3%), nell’abbigliamento (17,1%) e nelle aziende meccaniche (10,5%).
Sono 1.872.185 le ore autorizzate fino a luglio 2020 di cassa integrazione in deroga, con una media di 25,3 giorni per lavoratore.
Più di 1 milione le ore autorizzate dal Fondo di integrazione salariale.
Un impiego, da gennaio, degli ammortizzatori sociali per più di 10 milioni di ore autorizzate, che ha interessato la metà della forza lavoro pratese.
Meno salario. Il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali ha comportato perdite mensili consistenti di salario per operai e impiegati, la cui paga oraria media lorda, secondo gli ultimi dati Istat disponibili (2017) riferiti alla provincia di Prato, è rispettivamente di 10,67 e di 16,37 euro.
Le Ula (unità di lavoro equivalente: quantità di lavoro assorbito dal sistema produttivo pratese) operaie e impiegate, per ciascun mese di cassa integrazione, hanno subito una marcata contrazione salariale: -33,2% operai, -47,4% impiegati.
Nel dettaglio: il salario medio di un operaio è di 1.493,80 euro, mentre il valore Cigo media è di 998,18 euro, la perdita per ciascuna Ula operaia è stata di 495,62 euro; il salario medio di un impiegato è di 2.282 euro e il valore della Cigo di 1.199,72 euro, la perdita per ciascuna Ula impiegata è stata di 1.082,28 euro.
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