A scuola di diritti

A scuola di diritti

Li guardo mentre sono chini sui tavoli, foglio e penna alla mano. Chiedono e interrogano il mediatore linguistico sulle parole difficili, sui concetti più complessi, ciò che abbiamo appena spiegato, che già intuiscono come cose importanti da sapere e che segnano sui cartelloni che abbiamo preparato.

Vengono dal Malì, dal Gambia, dal Camerun, dalla Somalia, dal Senegal, dal Niger, dalla Costa D’avorio, dal Ghana, paesi lontani alcuni sconvolti dalle guerre, altri dalla povertà.

Alle loro spalle cammini lunghi, dolorosi; per noi: odissee inimmaginabili.

Sono beneficiari del progetto Sprar, Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, vivono negli alloggi messi a disposizione dal progetto nei vari comuni della provincia di Prato.

Adesso sono qui, con noi, in questa sala.

Loro ce l’hanno fatta a oltrepassare quel mare che ci divide e vogliono vivere, chiedono una vita fatta di cose “normali”: una casa, un lavoro, una paga dignitosa per aiutare anche le loro famiglie lasciate a casa.

Nostalgia e speranza, si mescolano sui loro volti, a volte un po’ preoccupati per le tante cose da imparare, altre volte, impazienti di sapere.

Noi proviamo a spiegare come funziona un rapporto di lavoro in Italia: che c’è un contratto, una busta paga e le tasse che paghiamo, tolte dallo stipendio, servono ad avere le strade, le scuole, gli ospedali pubblici e gratuiti.

E’ l’ora di pranzo e mangiamo tutti assieme, ci si rilassa un po’ e si chiacchera, oso qualche parola, nel mio francese assai stentato, ci ridiamo sopra; Gabriel che ora fa anche il mediatore, mi dice: “ti ricordi l’altro anno l’ho fatto anch’io il corso”.

Nel suo paese è laureato, parla sette lingue, lavora in fabbrica, va all’università a Firenze e quando può arrotonda con la mediazione, è contento, gli si legge in faccia.

Nel pomeriggio riprendiamo la lezione con Andrea che si occupa del contrasto allo sfruttamento lavorativo e/o sessuale, spiega che presso il Comune di Prato esiste lo sportello per denunciare se si è vittime di sfruttamento.

Fa molti esempi, racconta storie, storie vere, di giovani uomini e giovani donne che hanno denunciato, talvolta con esiti positivi, altre no.

La formazione prosegue piena del nostro e del loro entusiasmo, ogni tanto nella stanza del Circolo si affacciano facce curiose.

Fabrizio e Juri rispondono alle tantissime domande, c’è una partecipazione inaspettata e contagiosa, le operatrici del progetto sono molto soddisfatte e non mancano di farcelo sapere.

Abbiamo posto le basi, spiegato quali sono i diritti e i doveri in ambito lavorativo, abbiamo raccontato cos’è la Cgil e cosa fa, adesso sanno che in Camera del Lavoro troveranno sempre una porta aperta.

Al termine, quella che in gergo formativo si chiama “restituzione” ci conferma la qualità del lavoro: fondamentali acquisiti, acquisiti gli strumenti essenziali per riconoscere lo sfruttamento e sapersi difendere, speriamo; speriamo soprattutto in uno Stato che li possa tutelare realmente.

La giornata sta per concludersi, Fabrizio in piedi, vuol dire ancora qualcosa, si gira di lato e indica il quadro appeso alla parete, è “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, dal significato assai eloquente, anche per chi non parla la nostra lingua: manifestazione pacifica di braccianti per chiedere più salario, più diritti, allora come adesso.

Abbiamo conosciuto persone e storie, anche noi, per un giorno, siamo stati “beneficiari” dei loro sogni.

Manuela Marigolli